E' la moda dell'estate 2012:
accusare Antonio Di Pietro di chissà quali fantomatici attacchi e provocazioni
contro il Presidente della Repubblica Napolitano, ogni volta in cui il leader
dell'IDV ne critica legittimamente le azioni e le dichiarazioni.
Sembra
proprio che per l'establishment poltico che regge il governo Monti (creatura di
"Re Giorgio", come lo chiamano gli americani) sia proibito criticare
il Capo dello Stato. Alcuni nel PD ne fanno addirittura una questione di cesura
rispetto al possibile dialogo, dimentichi degli attacchi all'allora Presidente
Cossiga da parte del PCI, che con Luciano Violante ne chiese addirittura la
messa in stato d'accusa.
Per
non parlare della cagnara che il Polo di destra (Forza Italia, Alleanza
Nazionale, CCD, che oggi si chiamano PDL e UDC) scatenò contro il Presidente
Scalfaro, reo di aver consentito il "ribaltone" Lega-PDS contro il
primo governo Berlusconi.
Ma
tant'è, l'unico che non può criticare il Quirinale pare sia Antonio Di Pietro,
anche se di cose da dire ne avrebbe. Non solo sull'operato da Presidente, ma
anche sul percorso politico di Napolitano, che è utile ricordare proprio perché
qualcuno tenta di santificarne la figura (ovviamente per la propria convenienza
del momento): dagli scontri con Berlinguer nel 1981 sulla "questione
morale" (che secondo Napolitano esponeva il PCI al rischio di settarismo e
isolamento), alla decisione nel 1993 di sbarrare la strada (come Presidente
della Camera) ai magistrati di Milano durante Tangentopoli, quando costoro chiesero
copia dei bilanci dei partiti, fino alle critiche che gli piovvero addosso
quando nel 1998, da Ministro dell'Interno, fu accusato di non aver fatto
sorvegliare adeguatamente Licio Gelli, il quale fuggì all'estero il giorno in
cui la Cassazione
lo condannò per depistaggio e strage.
Lo
stesso predecessore Carlo Azeglio Ciampi lo ha criticato per la frettolosa
firma di promulgazione del Lodo Alfano, poi dichiarato incostituzionale.
Napolitano firmò anche il legittimo impedimento (poi risultato anch'esso parzialmente
illegittimo), lo scudo fiscale, il decreto Mastella per distruggere i dossier
della security Telecom, la c.d. legge "salva Pollari" e così via.
Si
arriva a questi giorni, dove il Presidente non solo interviene energicamente
nel dibattito politico, come se giocasse la partita e non ne fosse arbitro (se la Costituzione ha
ancora un senso...), ma sembra chiudere gli occhi di fronte al continuo ricorso
del Governo al voto di fiducia (contro ogni regola) e si oppone anche -
sollevando un conflitto di attribuzione - all'operato della Procura di Palermo
sull'inchiesta riguardante la trattativa Stato-mafia, dopo la scoperta di
alcune intercettazioni tra l'ex-Ministro Mancino e i palazzi del Quirinale. Da
qui le critiche a Napolitano anche da parte dei familiari di Paolo Borsellino e
di altri eroi della lotta alla mafia.
Ma
non sono certo questi i problemi della nostra democrazia. Neanche quelli
riguardanti la crisi economica, almeno a giudicare dagli scarsi risultati
prodotti dal Governo Monti, tanto caro al Presidente. Il problema dei problemi
si chiama Antonio Di Pietro, per un suo vecchio vizio così mal tollerato nel
paese della corruzione e del malaffare: chiamare le cose con il loro nome e
giudicare in base ai fatti anziché alla vuota retorica delle parole.
Andrea
Romano - Coordinatore Provinciale IDV Livorno

Nessun commento:
Posta un commento
Scrivi qui il tuo commento. Utilizza sempre un linguaggio corretto e civile, oppure il tuo commento potrà essere rimosso. E' sconsigliabile l'uso dell'anonimato, dato che c'è la funzione "Nome/URL", dov'è possibile inserire qualsiasi nome/nickname lasciando libero lo spazio riguardante l'URL.
Mi raccomando: COMMENTA. Sarà nostra premura considerare ogni riflessione e spunti preposti.